Export, educazione finanziaria, taglio dei costi: skills anti-Covid nello zaino della ripresa

Posted By Daniela Montalbano on Set 4, 2020 | 0 comments


«L’autunno? Fa paura». Lo dicono gli imprenditori, che hanno la grande capacità di lasciare ad altri le illusioni ed entrare nel vivo delle questioni guardando preventivi, fatture e bolle. Il post-Covid è quello che ci si aspettava: si esauriscono gli ordini in pancia; ne arrivano altri (ma pochi, troppo pochi) e si lavora per affrontare quello che i media hanno già definito «autunno caldo» italiano. La paura è legata da un lato alla possibile, seconda ondata dell’epidemia da Covid 19 (che secondo qualcuno è già iniziata), e di conseguenza alla sicurezza propria e dei propri collaboratori, e dall’altro all’economia mondiale. Che di fronte a un altro lockdown non reggerebbe. Bisogna pianificare, anticipare le turbolenze e prepararsi a reggere il colpo che, forse, potrebbe arrivare dalla fine di settembre ai primi di ottobre. E’ questo sul quale stanno ragionando gli imprenditori. Marco Ercole Oriani, professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, elenca gli attrezzi da mettere nello zaino: «Export, educazione finanziaria, taglio dei costi». Un percorso che deve iniziare e mai finire: la resilienza passa dalla continuità.

Professore, le imprese temono che quello che verrà sarà un autunno caldo: come si devono preparare?
Sono d’accordo con gli imprenditori, perché la crisi non ha effetti immediati ma si manifesta seguendo un’onda lunga. Le previsioni per un autunno difficile sono da tenere in debita considerazione.
Prepararsi a questa evenienza, significa pianificare la gestione dell’azienda. Partendo dall’aspetto finanziario. Su questo punto c’è molto da lavorare perché, come sappiamo, non tutte le aziende hanno sviluppato capacità avanzate di pianificazione. Le dico una cosa forse un po’ impopolare.

Dica…
Al di là del fatto che è evidente tagliare i costi non strategici (chi è ragionevole avrà già fatto il cost cutting), l’imprenditore non deve prelevare dall’azienda quelle risorse che poi userà per le sue esigenze personali. Anzi, se il business aziendale è buono, e quindi si dispone di qualche risorsa in più, è questo il momento di immetterla nell’impresa per superare quelle difficoltà che arriveranno e che, speriamo, siano temporanee. Ma aggiungerei anche un’altra cosa.

Quale?
Quello che qualche banca sta già proponendo: prestiti alle imprese, di diverso importo – limiti al di sotto e al di sopra dei 500mila euro – a tasso zero ma su pegno di titoli dell’imprenditore. Potrebbe essere una soluzione per ottenere liquidità: se l’imprenditore crede nella sua attività, potrebbe provarci.

Lei insiste molto sull’educazione finanziaria: perché?
Nel nostro Paese è notoriamente molto bassa. Si pensa che per gestire, bene, le proprie risorse basti parlare con qualcuno per due giorni: non è affatto così. Inoltre, fare questo nell’imminenza di un momento difficile serve ancora meno. Invece, credo che il supporto di un’associazione di categoria – come lo è Confartigianato Varese – possa aiutare l’imprenditore a confrontarsi con altre realtà per ottenere qualche indicazione preziosa. Ovviamente, non tutte le soluzioni vanno bene per tutte le imprese, perché ogni azienda è un mondo a sé. Però bisogna incontrarsi, parlare e confrontarsi: il consiglio giusto arriverà. Non dimentichiamo che questa funzione educativa spetta anche al Governo e allo Stato, perché è un interesse pubblico avere risparmiatori preparati. L’educazione finanziaria non può essere una tantum e non deve essere demandata all’utente finale. Ecco perché un’associazione di categoria, con i suoi professionisti, svolge anche un ruolo sociale. Ma la forza rappresentativa di un’associazione la rende particolarmente credibile anche nei confronti degli attori del fintech.

E’ il momento giusto per investire anche in strumenti innovativi?
Avendo le risorse, penso alle piattaforme di Peer-to-Peer landing: chi ha un avanzo di risorse rispetto alle eccedenze, invero poche imprese al giorno d’oggi, potrebbe veicolarle e prestarle attraverso queste piattaforme. A condizioni di mercato che care non sono. Attenzione che questa non è un’attività filantropica, ma di mercato. Ma ripeto: è fondamentale lavorare anche sul taglio dei costi.

Insomma, sempre meno banche?
Nonostante il cordone dei prestiti alle imprese si sia un po’ allentato, il problema delicato rimane la velocità di erogazione del prestito. Per un’azienda, questo è l’elemento decisivo: bisognerebbe bypassare ancora di più le prassi bancarie, perché non è così automatico che una piccola banca del territorio sia più veloce nell’erogazione. Anche in queste realtà ci sono fenomeni di vischiosità e lungaggini. E’ anche vero, però, che le banche devono svolgere un ruolo decisivo: in questo momento sono ancora il canale di approvvigionamento più importante per le situazioni fisiologiche.

Chi lavora con il mercato casalingo non ha le stesse possibilità di chi scommette sui mercati esteri. Anche se…
In questa situazione particolare l’attenzione nei confronti dei mercati con i quali si lavora deve essere ancora più alta: il virus si sposta da Est a Ovest, prima colpisce alcune aree e poi altre. Ecco perché è bene diversificare, essere presenti su più Paesi, addirittura riuscire ad avere una produzione per il mercato domestico e, contemporaneamente, una per quello estero. Questo permette di vivacchiare.

Di fronte al Covid, le imprese che hanno sofferto di più sono state quelle micro e piccole. Qualche previsione?
Le previsioni degli analisti sono fallaci: bisogna guardarle con disincanto, perché si rischia di farsi male. Se prendiamo in considerazione orizzonti di investimento lunghi, anche pluridecennali, rimanere investiti nell’azionariato paga molto di più che investire in obbligazioni anche se con un rischio più basso. Bisogna evitare, inoltre, di entrare ed uscire continuamente dal mercato affidandosi ad una infallibile capacità di trarre profitto dalle varie situazioni: questo è molto teorico.

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